Quando
gli accadde il fatto dell'attacco di riso continuo, che sconvolse la
sua esistenza da un giorno all'altro, Lorenzo aspettava l'autobus in
un'affollata fermata poco fuori città. Era la sua seconda settimana
di lavoro; si trattava di una supplenza in materie letterarie in un
istituto di suore. Per il giovane uomo si trattava di una piccola
rivincita poiché proprio in quella stessa scuola era cresciuto,
frequentando le elementari e le medie - senza però grande successo -
collezionando voti al limite della sufficienza in quasi tutte le
materie, e in particolare in quella che poi sarebbe diventata la sua
specializzazione, l'italiano.
“Tu
scrivi in un modo... in un modo! Questo tema è quasi illeggibile!”
gli ripeteva la vecchia professoressa, riconsegnandogli il foglio
protocollo, nel silenzio generale. Con il tempo - però - le cose
cambiarono: il ragazzo si applicò maggiormente, appassionandosi alla
poesia italiana, alle lingue straniere e alla storia classica, mentre
la vecchia insegnante veniva portata via da un terribile cancro ai
polmoni. Spesso ci pensava ad inizio giornata, mentre attendeva
l'autobus che lo portava nei pressi del centro storico della sua
città. Ma la mattina in cui il riso gli rubò l'anima, le sue
riflessioni vennero oscurate dalla terribile voce di un vecchio che
cantava accompagnandosi con un violino scordato: era un mendicante e
chiedeva soldi.
“La...la...la...la...la...”
strillava.
Nessuno
tra i presenti lo degnò di uno sguardo. Solamente Lorenzo si mise la
mano in tasca per estrarre tutto ciò che aveva: un euro e venti.
Malgrado provasse fastidio per quel bizzarro uomo, si sentiva in
dovere di aiutarlo; e in un momento il vecchio si era già avventato
su di lui come un avvoltoio sopra un cadavere per ritirare gli
spiccioli. Nonostante lo scarso contributo lo ringraziò molto,
facendo un piccolo inchino; poi si allontanò, continuando a suonare
e a cantare.
Il
rumore del pullman in arrivo cancellò quella straziante musica. Una
volta salito, Lorenzo ebbe un improvviso forte dolore al petto come
mai lo aveva avuto in vita sua; durò alcuni istanti. Sapendo poco
della composizione del corpo umano e non avendo mai avuto nulla che
non fosse un raffreddore o un mal di testa, si preoccupò. Poi chiuse
gli occhi e ripensò al fatto della sua ignoranza: per esempio non
conosceva nemmeno la differenza tra stomaco e pancia o dove fosse la
milza.
Riaprì
gli occhi. Il pullman era pieno, come sempre a quell'ora. Gli venne
da tossire, due, tre, quattro volte. Guardò fuori dai grandi
finestrini: c'erano case di cinque o sei piani, le vetrate degli
ingressi di quei palazzi che riflettevano la luce del sole autunnale,
il solito traffico. Poi - senza alcun motivo - gli uscì dalla bocca
una breve risata. Non capì bene il perché. Volgendo ora lo sguardo
dentro il pullman carico come un carro da bestiame, rise di nuovo.
Tuttavia questo poteva essere divertente per davvero e allora un
senso c'era. Riprese a guardare fuori, ma rise nuovamente.
Ogni
cosa improvvisamente era diventata buffa: una donna con in braccio un
bambino che scendeva e un'altra donna che saliva, un signore anziano
che cercava nelle tasche il biglietto del pullman, l'autista che
frenava di colpo.
Lorenzo
si mise la mano davanti la bocca e guardò fuori, ma anche il
paesaggio urbano lo faceva soffocare dalle risate che già si
sentivano per tutto il bus. La gente cominciò a prenderlo per matto.
“Scemo!”
gli urlò uno.
Lui
stava all'incirca a metà del pullman. Cominciò anche a sudare.
Alcuni adolescenti ammassati in fondo lo fissarono divertiti e lui -
viceversa - trovò in loro qualcosa di irresistibile: e giù un'altra
risata.
Oramai
era nel pieno di una strana crisi. Ma il giovane uomo aveva anche la
speranza che con un po' d'acqua - una volta sceso dal pullman,
trovata una fontana - sarebbe ritornato normale.
Molti
passeggeri scesero alla sua fermata, in una grande piazza. Qualcuno
gli diede una spinta da dietro, ma senza farlo cadere. Lorenzo era
molto sudato: la sua giacca nera, la camicia bianca, pure i jeans
neri avrebbero impuzzolito a breve tutta la sua scuola. Si mise a
correre verso la fontana più vicina, ma alla vista di una testa di
toro che sputava acqua, rise e non bevve.
Entrando
a scuola, gli venne alla mente un fatto avvenuto quando lui
frequentava la prima o la seconda elementare. La sua maestra - una
suora - riuscì a calmare l'attacco di singhiozzo di un bambino
facendogli recitare la tabellina del tre o del cinque. Ora proprio
quella suora - una donna ancora abbastanza giovane - se la ritrovò
di fronte nell'atrio. Forse Suor Renata aveva una cura adatta per il
suo attacco? Gli avrebbe fatto recitare le lettere dell'alfabeto -
magari al contrario - così gli sarebbe passato quel suo assurdo
malessere?
Correndo
la salutò con un “Buongiorno” ma lei non rispose nemmeno. Lui
prese il corridoio semibuio che da bambino gli pareva infinito e
misterioso, si chiuse nel bagno degli insegnanti, e lì scaricò una
enorme risata che rimbombò per tutto l'edificio. Bevve l'acqua un
po' amara del rubinetto del piccolo lavandino; fece la pipì nel
minuscolo water, e così - finalmente - si accorse che quello non era
nemmeno il bagno degli insegnanti, ma dei bambini delle elementari;
seguì un'altra risata.
Rimase
comunque lì dentro - al buio - a riflettere per un po'. Fuori dalla
scuola c'era molta luce. Quel giorno era un venerdì: Lorenzo avrebbe
avuto solo due ore di lezione, mentre il mercoledì e il giovedì ne
aveva quattro.
“Due
ore, meglio che quattro!”
Era
molto confuso ed anche il tempo passava; erano già le sette e
cinquanta minuti. Uscì dal bagno alle otto in punto e si presentò
in classe di fronte ad una ventina di ragazzini taciturni. Avrebbe
potuto interrogarli tutti facendo delle domande impossibili e ridere
delle loro risposte; pensò a questo mentre gli scappava una piccola
risata, che riuscì a mascherare allungandola con un colpo di tosse.
D'altronde aveva sempre fatto così: in treno, in ascensore o alle
cene, quando, per evitare il noioso rituale del “salute-grazie-prego”
ad ogni suo starnuto, Lorenzo riusciva ad arrangiarlo con due o tre
colpetti ravvicinati di finta tosse. E in questo era un piccolo
maestro. Soltanto che nell'assurda situazione in cui si trovava, il
giochetto non avrebbe retto per due ore, e prima o poi gli allievi lo
avrebbero scoperto.
Si
fece forza; finalmente esordì, saltando l'appello:
“Buongiorno
ragazze e ragazzi! Come vedete sono di buon umore e ho qualcosa da
proporvi: oggi non faremo grammatica, AH AH, e non ci sarà alcuna
interrogazione, ma AH AH AH AH faremo un tema sul significato del
ridere!”
I
ragazzi rimasero freddi. La più bellina e fisicamente sviluppata
alzò la mano e chiese se poteva andare in bagno. Lorenzo rispose di
sì ridendo, e lei uscì.
“Allora
vi spiego tutto. Intanto, per favore, qualcuno vada a prendere i
fogli protocollo in segreteria”.
Nessuno
si alzò. Questa geniale improvvisata - secondo il giovane supplente
- gli avrebbe anche permesso di ridere liberamente ed essere così in
filo diretto con l'argomento del compito scritto. Poi continuò:
“Il
riso ha una storia antichissima. Bisognerebbe partire da...” ma
venne educatamente interrotto da un'altra ragazzina, che disse:
“Tra
cinque minuti c'è la preghiera per ricordare l'ex preside e
insegnante Giovannina Masera, morta di cancro diversi anni fa.”
Si
trattava proprio della sua ex insegnante, che durante le medie, lo
aveva spesso umiliato.
“Giovannina
Mas... Ma certo! Lo sapevate che un tempo era stata anche mia
insegnante?” aggiunse con preoccupazione.
La
preghiera poteva durare trenta minuti, anche un'ora. Era ovvio che
Lorenzo non avrebbe potuto partecipare: ci sarebbe stato tutto il
corpo insegnante, le suore, gli allievi, alcuni ex allievi, i
familiari della defunta e il prete del quartiere.
“Professore,
lei dovrà leggere tutte le nostre preghiere. Ogni insegnante lo
farà.” aggiunse l'allieva.
“Ma
io non sapevo nulla AH AH non posso, ho un problemino alle corde
vocali!” rispose lui, nell'indifferenza generale.
Dieci
minuti più tardi - infatti - non recitò nessuna preghiera per la
cara defunta, poiché venne sbattuto fuori a calci nel culo dal
giardiniere dell'istituto, un vecchio aitante di nome Roberto (che
pare fosse anche l'amante della scomparsa); per Lorenzo era bastato
un solo lungo scoppio di risata, simile ad una mitraglietta.
Fuori
dalla scuola c'era sempre un gran sole e nell'aria si sentiva l'odore
del vento. Prese l'autobus di ritorno verso casa. Fortunatamente non
c'era nessun passeggero, tranne una donna sulla quarantina, con in
mano due grossi sacchi della spesa. Lui rise tutto il tempo, anche
mentre l'aiutava a scendere e lei lo ringraziò con un sorriso
imbarazzato. Dallo specchietto l'autista del pullman gli lanciò
alcune occhiatacce. Il traffico a metà mattinata era quasi assente,
e così Lorenzo giunse nella propria casa in poco più di mezz'ora.
Viveva
al quinto piano di un palazzo con mattoni scuri luccicanti. Tutte le
tende dei balconi erano di colore verde. La madre e il padre a
quell'ora erano a lavoro in ufficio. Nell'elegante trilocale viveva
anche un gatto grigio mezzo pelo. Lorenzo si buttò nel letto della
sua stanza e cercò di addormentarsi, senza riuscirci. Fissava le
pareti piene di poster che ritraevano scene di film e poi di
cantanti, gruppi musicali e di eroi del wrestling. Rise per quelle
immagini che aveva davanti a sé tutti i giorni da una vita e che
ancora amava.
In
quel momento anche la perdita del lavoro lo faceva ridere così tanto
da fargli bagnare il cuscino di saliva.
Verso
l'una del pomeriggio si alzò dal letto per rispondere al citofono:
era la madre. Lui non aveva nemmeno apparecchiato la tavola. Lei
entrò in casa, accese il televisore per sentire il telegiornale,
soprattutto la cronaca nera. Lorenzo non le raccontò nulla riguardo
alla sua misteriosa crisi. Le disse solamente che aveva bevuto un
paio di bicchieri di vino in un bar del centro con un collega che
festeggiava il compleanno; ma la donna cucinava e non lo ascoltava.
Lui
non mangiò nulla perché così avrebbe rischiato di soffocarsi, e si
chiuse nella sua stanza per riflettere. Gli facevano male gli
addominali, ma continuò a ridere per tutto il pomeriggio. Per
evitare che la madre s'insospettisse sentendo quelle urla, lui accese
lo stereo ad alto volume e ascoltò svariate canzoni pop-rock degli
anni novanta. Per alcuni minuti l'attacco di riso gli dava tregua, ma
poi tornava; costante era quel sorriso fissato sulla sua bocca che
non se ne andava più. Gli facevano male le guance; le massaggiò
lentamente per due ore, fece lunghi e distintivi respiri che aveva
imparato in qualche corso serale di training autogeno. Ma poi tornava
sempre a ridere.
Fino
a quel momento la sua risata era stata un “ah” d'intensità e
durata mutevole e mai aveva prodotto un “oh” oppure un “eh”.
Anche quando andava a vedere i film comici americani - seminascosto
da un cappellino sportivo, in modo tale che qualche suo conoscente,
di passaggio fuori dal cinema, fissato solo con le pellicole
d'autore, non avrebbe potuto riconoscerlo poiché lo avrebbe
giudicato un tipo poco intellettuale - lui rideva sempre alla stessa
maniera:
“Ah,
ah, ah...”
Provò
ad addormentarsi, ma era difficile, un po' come quando si ha una
forte tosse. Poi squillò il telefono; prese il suo cellulare vecchio
modello che usava poco e rispose subito:
“Ehi
come va?” disse una voce femminile.
“Ciao!
Ah, ah!” rispose lui.
“Che
allegria signorino Lorenzo, ma sei proprio tu?” disse lei.
Era
Chiara, la sua amica.
“Allora
stasera ci vediamo al circolo alle 20.30! Non c'è bisogno che mi
vieni a prendere, mi accompagna già Ale. A dopo!”
Lorenzo
non riuscì neanche a capire di cosa si trattasse, ma ebbe un brutto
presentimento. Accese il computer per controllare l'e-mail: si
trattava di una festa del circolo culturale nel quartiere
multi-etnico vicino al centro storico della loro città, dove Chiara
lavorava come organizzatrice culturale e soprattutto come barista. Il
menù della serata era il seguente:
ore
21.00, proiezione del documentario
Le donne in Iran.
ore
22.00, dibattito con testimonianze dirette di donne che raccontano la
loro vita in Iran e la nuova vita in Italia e in Francia.
ore
23.00 musica iraniana suonata dal vivo e bibite a due euro.
Chiara
era un'affascinante ragazza dai lunghi capelli neri e gli occhi
verdi, piena di vita e di interessi legati al sociale; talvolta era
scontrosa e logorroica. Si vestiva sempre con gonne lunghe colorate
anche quando - in pieno inverno - si spostava in bicicletta da una
parte all'altra della città.
Lui
ne era profondamente innamorato da almeno dieci anni e lei finalmente
stava lentamente ricambiando. Anche fisicamente. Negli ultimi mesi
erano addirittura riusciti a dormire insieme per una notte - nella
stanza di Chiara - in una casa abitata anche da studenti universitari
fuori corso.
Lorenzo
ripensò alla sua situazione sentimentale e si fece una bella risata.
Quella sera non poteva mancare, ma se per la parte musicale le sue
risate sarebbero state coperte dagli strumenti suonati dal vivo, come
avrebbe fatto per il documentario e soprattutto per il dibattito
successivo?
Si
vestì in fretta, voleva uscire di casa per riflettere; magari
avrebbe raccontato a Chiara ciò che gli stava capitando, ma alla
fine gli avrebbe creduto?
Le
crisi esistono e possono durare qualche minuto o più; ma lui non
aveva mai letto una cosa simile alla sua, forse nemmeno in qualche
romanzo. Tempo prima aveva sentito alla radio la storia di una
bambina che starnutiva ogni pochi secondi senza mai fermarsi, neanche
quando dormiva.
Fece
un lungo respiro, mangiò un mezzo panino, mentre suo padre rientrava
a casa dal lavoro.
Uscì
di casa. Nel frattempo le nuvole avevano nascosto il sole. Camminando
lentamente sul marciapiede del lungo corso che portava dritto nel
cuore della città, si accorse che ormai aveva smesso di ridere da
diversi minuti; quel sorriso stampato sulla sua faccia era svanito.
“Forse
è tutto passato?” pensò. Si fermò, guardandosi attorno: gli
alberi erano pieni di foglie ancora verdi mosse da un vento leggero.
La gente entrava e usciva dai vari negozi del corso; una signora
sulla cinquantina fumava una sigaretta molto sottile mentre portava a
spasso un piccolo cane; le auto sfrecciavano e altri piccoli eventi
minimi, ma nessuno di questi gli provocò una risata.
Riprese
a camminare, poi si fermò nuovamente. Doveva avere altre prove: a
pochi metri c'era un bar pieno di ubriachi. Lo sapeva perché fin
dall'adolescenza ci passava vicino con il pullman e vedeva sempre gli
stessi uomini seduti ai tavoli che bevevano, fumavano e giocavano a
carte, dalla mattina alla sera. Lorenzo decise di entrare e ordinò -
appoggiandosi al bancone - un caffè, un bicchiere d'acqua e un
panino con speck e brie. Il titolare - un uomo calvo con i baffi -
gli disse di accomodarsi; poi aggiunse che mancava lo speck e pure il
brie. Lorenzo non rise. Un uomo al tavolo vicino al suo dormiva
russando. Mangiò un panino al prosciutto cotto, bevve un caffè e un
bicchierone d'acqua frizzante, senza mai ridere. Uscì felice - forse
era guarito, pensò - mentre il titolare del bar lo richiamò poiché
nell'euforia il giovane uomo si era dimenticato di pagare.
Riprese
a camminare per tutta la città, percorrendo anche due o tre volte le
stesse piazze, poiché era in anticipo. Una volta arrivato nei pressi
del circolo in cui lavorava Chiara, sentì un fortissimo male alla
testa, come se qualcuno gli avesse tirato una bastonata; poi il
dolore passò immediatamente.
Davanti
al circolo - però - tornò a ridere.
C'erano
alcuni suoi conoscenti che fumavano davanti all'ingresso.
“Eccolo
qui” disse uno a Lorenzo; questo personaggio lui lo incrociava in
giro nei locali da almeno dieci anni, ma non sapeva né come si
chiamasse né cosa facesse nella vita. Ma tutto ciò gli importava
poco perché la crisi era tornata. Vide Chiara che lo salutò con due
semplici baci frettolosi su entrambe le guance.
“Vai
dentro e tienimi un posto in prima fila!” disse lei.
Lui
rise, Chiara lo guardò in modo strano. Poi eseguì l'ordine: entrò
e prese posto per due in prima fila. La piccola e fredda sala di
proiezione, che era al piano sotto la pista da ballo, si riempì in
pochi minuti: le persone che prima fumavano e scherzavano davanti al
locale, ora stavano in silenzio, in attesa che l'evento cominciasse.
“Grazie,
ma che hai?” sussurrò Chiara, che nel frattempo si era seduta
accanto a lui.
“Ho
male ai denti!” rispose Lorenzo, tenendo le due mani sulla bocca.
Ogni
tanto tossiva. Nel mentre entrarono una serie di donne - italiane e
iraniane - dall'aria minacciosa, pronte ad introdurre il filmato.
Pochi metri di fronte l'entusiasta Chiara c'era il povero e sudato
Lorenzo, che ogni tanto tossiva e soffiava sulle proprie mani.
L'introduzione alla serata fu stranamente molto breve, presagio di un
lungo dibattito a seguire. Le luci si spensero e partirono le
immagini. L'audio era molto basso e per questo dettaglio tecnico -
cosa di non poco conto per l'ex supplente - le organizzatrici si
erano già scusate.
Il
film iniziò con un primo piano di una donna iraniana senza velo, che
raccontava nella propria lingua - con sottotitoli in italiano - le
tremende violenze che aveva dovuto subire da parte del padre e del
fratello, quando abitava con loro a Teheran. Inoltre raccontò lo
stupro da parte del suo fidanzato, la coraggiosa fuga in Europa,
prima in Francia, poi in Italia. Lorenzo stava soffocando dalle
risate. L'aria compressa tra le dita creava un effetto tipo
scoreggia. Ne aveva fatte già molte e il film era appena all'inizio.
Tutti i presenti se ne erano già accorti; ora stizziti, cominciarono
a criticare l'intruso gridandogli “Fuori...vergogna...fuori!”
Chiara
non lo guardava nemmeno, fissava lo schermo, fingeva di non
conoscerlo. All'improvviso lui liberò le mani dalla bocca, si gettò
in terra e scaricò tutte le risate represse. Raggiunse il massimo di
intensità, forse la più fragorosa risata della sua vita. Questo -
però - era anche l'unico modo per non morire soffocato. Aveva male
in tutte le parti del corpo. A quattro zampe - con le lacrime agli
occhi - fuggì da quel luogo tra gli insulti, e si ritrovò fuori per
le strade della città. Era buio. Si alzò un forte vento improvviso
che quasi lo spinse lontano da quel posto; Lorenzo aveva sempre amato
il vento, forse era il suo agente atmosferico preferito. E così vagò
divertito per le strade durante tutta la notte, tra le lacrime e
soffocato dalle risate. Infine si addormentò, sognando di essere a
Tokyo, città che ammirava molto anche se non ci era mai stato.
Anche in sogno non aveva mai smesso di ridere. Si risvegliò il
mattino verso l'alba, con un forte male alla testa, proprio alla
fermata del pullman dove tutte le sue disgrazie avevano avuto inizio.
Udì
nuovamente quell'orrendo suono di violino e la vecchia voce stonata:
“La...la...la...la...la...la...”
Lorenzo
si alzò in piedi, lentamente. C'erano quattro o cinque persone che
aspettavano il pullman. Il vecchio mendicante passava davanti ad
ognuno di loro, ma questi restavano immobili come manichini, finché
giunse proprio davanti a lui.
“La...la...la...!
Hai qualche soldo per un artista?”
Lorenzo
lo fissò negli occhi; poi gli urlò:
“Brutto
figlio di troia! Brutto figlio di troia! E' colpa tua! Mi hai fatto
un incantesimo, mi hai rovinato la vita! Testa di cazzo!”
E
come dargli torto? Effettivamente tutte le sue disavventure erano
cominciate proprio dopo quell'incontro e quella musica vomitevole. Il
vecchio smise di suonare il violino.
“Che
dice Signor?” chiese lui stranito.
Lorenzo
gli saltò addosso e i due finirono per rotolare nell'erba lì
vicino. Il vecchio gli tirò due cazzotti in faccia e la rissa finì
immediatamente. Riprese il suo violino e l'archetto e se ne andò
via. Il giovane rimase coricato in quel prato pieno di piccoli
sacchetti, con la testa rivolta al cielo tutto bianco. Si sarebbe
aspettato un colpo di scena, una frase illuminante, qualsiasi cosa
che gli avrebbe finalmente chiarito l'intera sua vicenda; e invece
niente, sembrava finita così.
“E
se fosse stato tutto un sogno?” sussurrò a se stesso.
Però
i due pugni presi erano reali e un po' di sangue gli colava dal naso.
Ora
non gli veniva più da ridere. Rimase a lungo coricato a fissare il
cielo. La nebbia lo avvolgeva e, nonostante il freddo e il dolore che
provava in tutto il corpo, finalmente si sentiva felice.
Solo
più tardi si alzò per fare ritorno a casa.
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