Una
sera d'inverno, nella sua piccola fredda mansarda, in un quartiere
periferico della città, Fabio, un trentaquattrenne impiegato in una
segreteria universitaria, aveva improvvisamente capito che un lontano
desiderio, forse, si sarebbe macabramente realizzato. Un sito
internet di una nota multinazionale giapponese regalava sogni
erotici, costruendo bambole gonfiabili di lattice: uomini, donne,
androgini, con una tale precisione da sembrare veri esseri umani. Ma
la cosa che fece quasi svenire Fabio era l'opzione detta The
doll of your life.
L'azienda era in grado di ricostruire una bambola identica alla
persona richiesta: peso, viso, occhi, seno, dita, culo, capelli,
bocca e altri dettagli, anche minimi, tutto uguale.
Traducendo
il senso del loro slogan: se volevi indietro tua moglie nel fiore
della giovinezza, se eri il tipo fissato con donne simili a Pamela
Anderson o Marylin Monroe, se desideravi la tua ex compagna di banco
della scuola superiore, la casa di produzione di bambole reali, la
***, nel giro di un anno, per venticinque mila dollari, avrebbe
portato a casa tua la felicità, la persona che avevi da sempre
sognato (potevano anche mandarti noti leader politici, personaggi
storici...)
Solo
l'abbigliamento era un problema che il cliente avrebbe dovuto
risolvere da sé, ma questo era il meno.
Fabio
si accese una sigaretta, di quelle sottili, ma non era un gran
fumatore, anzi, solitamente le teneva per gli amici o per qualche
fidanzata, o magari se ne fumava una o due, ogni tanto, dopo un buon
caffè. Nella casa risuonava musica jazz. Fabio pensò alla questione
finanziaria: poteva ritirare i soldi dalla banca, quelli che aveva
ricevuto da una eredità, e che, secondo i consigli della sua
famiglia, mai e poi mai avrebbe dovuto spendere se non per un giusta
causa, come per esempio quella di comprarsi una buona automobile.
Invece,
dopo poche settimane, aveva già preparato tutto il materiale
fotografico sulla ragazza che voleva far rivivere a tutti i costi: si
chiamava Lisa ed era stato il suo più grande amore, anche se ne
aveva parlato con poche persone e mai in modo serio. I due si erano
conosciuti al liceo quando Fabio frequentava l'ultimo anno, mentre
lei, due anni più giovane, il terzo. Durante una partita di
pallavolo lui le schiacciò una violenta pallonata sul viso e lei
finì in infermeria. Il giorno seguente, per farsi perdonare, le
regalò tre rose rosse davanti a tutta la classe. Dopo qualche
settimana si misero insieme, ma si vedevano solo di domenica, nella
spaziosa casa di lei, oppure andavano nei cinema d'essai. Abitavano
pure nello stesso quartiere e avevano molti amici in comune. In quel
periodo era straripante di felicità, la notte faticava ad
addormentarsi, non aveva mai conosciuto una ragazza così piena di
interessi. Ed era pure bellissima. Aveva i capelli rossicci, un po'
ricci; quegli occhi azzurri, quando lo fissavano, mettevano a disagio
proprio lui che pareva sempre distaccato da tutto e così sicuro di
sé. Per la prima volta si era innamorato, ma un bel giorno quegli
occhi non li vide più. Trascorso l'autunno, passato l'inverno, lei
si innamorò di un altro ragazzo della scuola. Fabio soffrì, in
silenzio. Qualche volta era capitato che si rifugiasse nel bagno
della scuola per piangere. Smise anche di giocare nella squadra mista
di pallavolo a causa di un problema alla caviglia, o almeno così
raccontò agli amici. Ma in realtà non voleva più incontrarla.
La
passione per il cinema, che con lei aveva condiviso, scomparve
presto. Dopo la maturità si iscrisse a Giurisprudenza, in un'altra
città. Conquistata a fatica la laurea, a trent'anni, ritornò nella
sua città, trovando subito lavoro, e così andò a vivere nella
mansarda di famiglia, in beata solitudine.
Il
ventidue maggio del 2005 c'era molto vento. Fabio guardava attraverso
il vetro della sua finestra le tende verdi di alcuni balconi del
palazzo di fronte muoversi violentemente. All'improvviso suonò il
campanello: era il corriere che gli avrebbe portato la sua bambola
perfetta.
Un
signore con la barba gli consegnò vari scatoloni con dentro i pezzi
del corpo da montare. Fabio non aveva il coraggio di guardare l'uomo
negli occhi, firmò e chiuse la porta.
In
quei mesi di attesa aveva comprato molti dei vestiti che lei portava
nel periodo in cui la frequentava: scarpe Doctor Martens blu, jeans
larghi, maglie di cotone colorate, la bombetta alla Charlot che ogni
tanto metteva. Acquistò persino il suo deodorante preferito. Se non
erano proprio gli stessi vestiti, dovevano comunque essere molto
simili a quelli che lui ricordava.
Montò
tutti i pezzi della bambola in un paio di ore, seguendo le istruzioni
in lingua inglese, e la vestì, cercando di non guardare il suo viso
e soprattutto quegli occhi azzurri, incantevoli. Durante il loro
breve adolescenziale rapporto, non si erano mai spogliati, non
avevano mai fatto l'amore; fu una storia fatta di interminabili baci
e carezze.
Finito
il lavoro, Fabio si mise a piangere - non gli capitava da anni, non
era un tipo dalle lacrime facili - perché sembrava proprio lei, la
ragazza di sedici anni di nome Lisa.
Alcuni
anni dopo il liceo, la vera Lisa l'aveva vista solo due volte, da
lontano, e gli era parsa sempre molto affascinante. Era anche
capitato che un amico comune li avesse fatti mettere in contatto
tramite posta elettronica, qualche anno prima, quando Fabio viveva
ancora Roma ed era in difficoltà con gli ultimi due esami. Così lui
le rispose un po' frettolosamente. Lei aveva studiato Lettere
classiche; sembrava la stessa persona di un tempo, presa dai soliti
interessi, per il cinema d'autore, il teatro, la politica, la cucina
indiana, la fissa per i viaggi e l'amata Berlino. In una e-mail, lei
gli chiese anche scusa per averlo lasciato così, da un giorno
all'altro, giustificandosi però che al tempo era ancora una ragazza
immatura. Non aggiunse altro.
Ma
a Fabio non importava più quella Lisa, ma l'altra, quella viva nei
suoi ricordi e che in quel momento aveva di nuovo di fronte, seduta
sul divano, con le gambe accavallate.
La
bambola pesava una cinquantina di chili o più; sollevarla e metterla
lì, in posa, per lui era stata una fatica ulteriore. I capelli ricci
le nascondevano le guance bianche. Gli occhi azzurri fissavano il
tappeto. Fabio la guardò dal basso, buttato in terra, sul tappeto:
erano proprio quegli occhi a fissarlo, quelli della ragazza che non
aveva mai smesso di amare, anche quando aveva avuto altre donne.
Smise
di piangere e le accarezzò le braccia, coperte da una maglia piena
di colori. Poi le toccò le mani e i polpastrelli, che sembravano
veri e soprattutto gli stessi che ricordava. I giapponesi avevano
fatto un grande lavoro, ma anche lui non era stato da meno nel
reperire tutto il materiale possibile per creare l'opera. Lisa al
tempo si mangiava le unghie, aveva proprio delle dita orrende e le
mani un po' mascoline.
Fabio
uscì di casa per andare in un caffè storico del centro per bere del
buon vino, insieme a due suoi colleghi e amici di dieci anni più
vecchi, entrambi uomini molto robusti che sembravano gemelli. Erano
amanti del calcio, delle scommesse sportive e fissati con la musica
di Miles Davis. Anche Fabio aveva questi interessi (però non
scommetteva mai), e le partite di calcio le vedeva in TV, nei pub,
insieme ad altra gente, tanto per stare in compagnia, ma non era un
vero tifoso. Mentre la musica l'ascoltava solo in casa,
continuamente. Comprava i cd, non solo quelli di Miles Davis, ma
tutto ciò che riguardava la storia del jazz. Li ascoltava nel
pomeriggio, dopo il lavoro e la sera prima di addormentarsi, sempre a
basso volume.
Con
questi due amici si incontrava il venerdì o il sabato, e per un paio
d'ore se ne stavano seduti a chiacchierare e a guardare attraverso le
vetrate scure le persone che passavano davanti a questo locale:
coppie di anziani, giovani, donne con il passeggino, qualche turista
che scattava foto, mendicanti e zingari che chiedevano soldi.
Fabio
tacque sul fatto della bambola, né aveva mai accennato ai due quel
suo amore adolescenziale. Come sempre raccolse dentro di sé le
immagini più strambe e forse le più belle, per lasciare spazio alle
apparenze, per gli altri: lui era un uomo qualunque, con interessi
forse un po' limitati. Fisicamente era ben messo, alto un metro e
novanta, con i capelli lunghi, scuri, la pelle liscia. Un uomo dal
carattere un po' riservato, ma che non lesinava mai la battuta, il
sorriso. Inoltre aveva avuto sempre tante donne, alcune molto
intelligenti e belle.
Amava
anche le giacche e le cravatte firmate, e a causa di queste costose
fisse, viveva in una semplice mansarda, rinunciando a qualche viaggio
o ad una casa migliore, pur di vestire come voleva: i soldi gli
bastavano per questo e per le cene, il vino pregiato, la collezione
di CD.
Il
resto del denaro gli serviva per pagare le spese di quel piccolo
rifugio, un paradiso a poco prezzo, tutto suo. Ma ora, forse, non era
più il solo a viverci.
Sapeva
di aver fatto una cosa molto strana con questa storia della bambola,
e che, a casa sua, qualcosa di indecifrabile, una ragazzina di
lattice che sembrava un essere vivente (le mancava solo il respiro),
lo avrebbe aspettato.
A
mezzanotte, quando rientrò nel suo appartamento, lasciò la luce
spenta, si mise sul divano, al suo fianco e cominciò a baciarla.
Anche le labbra parevano vere come quelle di una ragazzina, proprio
di quella ragazzina. Ancora una volta pensò ai giapponesi, popolo di
geni! Il vino gli aveva dato coraggio. Solo nei primi momenti pensò
di vivere dentro un ricordo o un sogno, ma questo passò quasi
subito, perché ora lui era lì per davvero, al buio, con una bambola
che lentamente stava spogliando. Scoprì i suoi seni duri, pesanti, e
che tali dovevano essere al tempo. Li baciò. Poi anche Fabio si
spogliò completamente, la penetrò e fece l'amore con la bambola,
anche lei tutta nuda. Dormì abbracciato alla ragazza di lattice fino
a tarda mattinata.
Al
risveglio le accarezzò i capelli, ma non riusciva a guardarla negli
occhi se non per pochi secondi. Era felice, forse il momento più
intenso della sua vita, e anche se sapeva che era solamente una
bambola, passò tutto il giorno a fare l'amore con lei.
Era
come se avesse ripreso un rapporto interrotto: anche lui si sentiva
un ragazzino, quel ragazzino di diciotto anni, e il tempo si era
fermato per sempre. I ricordi erano scomparsi, c'era solo l'attimo da
condividere.
L'espressione
del volto di Lisa era stata ricostruita in base ad una fotografia che
Fabio aveva scattato e scelto con cura - tra le poche a sua
disposizione poiché due o tre le aveva perdute o stracciate - con
lei che guardava le grandi onde del mare di Levanto. Avevano passato
insieme una sola domenica fuori dalla città, ed erano andati in
Liguria con il treno. L'immagine era stata scattata di nascosto
perché lei non amava né essere ripresa né fotografata. Aveva una
espressione rilassata, un po' misteriosa e forse distaccata, ma nel
complesso sembrava felice.
Secondo
lui era quello il volto che la bambola avrebbe dovuto avere in
eterno. Lisa, in realtà, era una ragazza che rideva molto e che
amava fare gli scherzi, e sicuramente era rimasta così anche a
trent'anni. E a Fabio non passò neanche per la testa di fare uno
scherzo e invitarla a cena per presentarla a sé stessa, sedicenne. E
nemmeno aveva intenzione di raccontarlo in giro: cose da pazzi!
L'avrebbero pure licenziato da quel lavoro burocratico e noioso di
segreteria (che comunque gli permetteva, nel suo piccolo, di vivere
come voleva).
Questo
era il suo segreto: doveva essere un amore al di fuori di tutto.
Nei
giorni seguenti la sfiorò soltanto, dandole qualche bacio e alcune
carezze. La sistemò in una minuscola stanza, tenendola con i vestiti
(in mezze maniche visto che si avvicinava l'estate), in un luogo che
serviva da ripostiglio per mobili rovinati, alcune sedie, vecchi
libri e altro. Preparò un letto da una parte e i libri, uno sopra
l'altro, contro l'altra parete, soprattutto libri di filosofia, saggi
su registi e attori come Woody Allen, raccolte di poesie e romanzi,
compresi i libri di Pavese, quelli degli scrittori della Beat
Generation
e di Pasolini. Lisa leggeva moltissimo e lui ne aveva comperati a
decine e decine proprio in quegli anni e un po' li aveva letti, per
poi dimenticarli quasi del tutto.
La
stanza aveva un lucernario, e la notte, a luci spente, guardava con
lei il cielo stellato.
Il
sabato pomeriggio aveva cominciato a leggerle ad alta voce poesie,
brani di romanzi, ma anche alcune cosette comiche che lui stesso
aveva scritto da adolescente, e che mai aveva avuto il coraggio di
recitare a qualcuno.
Oramai
quella era diventata la stanza di Lisa, e quando Fabio usciva, la
chiudeva sempre dentro, ma anche quando lui cucinava, parlava al
telefono o stava al computer o in bagno, la bambola doveva rimanere
fuori dal suo quotidiano. Era una forma di rispetto reciproco, pensò:
in fondo anche lei aveva bisogno di stare un po' per conto proprio.
E
così passò l'estate, nella rovente mansarda. Lui andava nella
stanzetta per qualche ora al giorno, oppure di notte e facevano
l'amore, se capitava. Fabio stava anche diventando un lettore
accanito e di fatto comprò altri libri, per lei e per sé stesso.
Una sera le scrisse anche una poesia d'amore un po' ispirata a quelle
di Pablo Neruda, e alla fine gli venne da commuoversi, tanto da
bagnarle il viso con una lacrima.
In
casa raramente invitava qualcuno (era una sua prerogativa, anche
prima di questo evento), e la sua vita fuori, nel mondo, continuava
ad essere la stessa: gli amici al caffè storico, il calcio e anche
due brevi storie con una donna sposata, conosciuta su internet e una
ragazza di venticinque anni, una stagista compagna di lavoro.
Tuttavia,
a partire dai primi giorni di ottobre, le cose cominciarono a
cambiare. Lui smise gradualmente di leggere libri, di raccontarle
storie. Sempre più spesso dormivano insieme, ma il sesso era
diventato predominante nella vita della strana coppia. Lui cominciò
a farle quello che mai avrebbe osato chiedere ad una donna. Dopo la
teneva stretta tra le sue braccia, ascoltando musica jazz diffusa per
la mansarda, ma pensava ad altro. La domenica pomeriggio, quando non
andava a vedere una partita di calcio, Fabio faceva gli esperimenti
più assurdi: si scolava due bottiglie di vino solo per provare come
e se sarebbe riuscito a venire anche da sbronzo.
E
questo era il meno. Provò a praticare sesso in tutte posizioni,
anche quelle impossibili da raccontare.
E
così avvenne il primo incredibile fatto: Lisa aveva cambiato
espressione del viso. Aveva perso quei lineamenti identici a quella
foto di lei davanti al mare, un po' misteriosa ma felice. Il volto
era lentamente mutato in una espressione colma di tristezza. Fabio si
era accorto di questo, ma continuò a fare del sesso con lei, quasi
tutti i giorni. Un altro particolare inquietante era che la bambola
aveva perso calore, era diventata fredda come il ghiaccio. Ora Lisa
sembrava distante, o meglio assente, come una bambola qualsiasi.
Durante
gli ultimi giorni di febbraio, l'uomo fece un breve viaggio a
Salisburgo insieme ai soliti due amici-colleghi. Al suo ritorno Lisa,
la bambola, era scomparsa nel nulla.
Non
è possibile, pensò, sicuramente era stata rubata, ma la serratura
era a posto e solo i suoi famigliari avevano una copia delle sue
chiavi. Nessuno però sarebbe entrato senza il suo permesso: la casa
era sua. Lavorava, pagava le spese e poi chi poteva prendergli la
bambola? Chi poteva sapere della sua esistenza? Praticamente non
aveva vicini di pianerottolo; c'erano quelli al piano di sotto, le
due tranquille famiglie del nono piano, genitori quarantenni o poco
più, figli in età da asilo.
Quella
settimana andò a cena dai suoi, un po' per indagare, ma nessuno gli
disse nulla. Allora pensò al corriere, all'uomo con la barba che gli
aveva portato la bambola ancora in pezzi, ma dopo una breve ricerca
scoprì che era morto in un incidente in motocicletta due mesi dopo
il periodo della consegna.
Gli
venne un dubbio: e se fosse stato tutto un sogno durato alcuni mesi?
Ma questo era impossibile, poiché c'erano ancora gli scatoloni
vuoti, i contratti della multinazionale giapponese ***, e anche due
parrucche, una bionda e una nera, in omaggio, rimaste dentro uno
scatolone e che Fabio mai aveva usato, perché la sua Lisa la voleva
così come se la ricordava (senza ulteriore artificio).
Durante
alcune notti faticò a dormire, gli venivano i brividi e quando
sentiva un rumore metteva la testa sotto il cuscino.
Era
assicurato, poteva farsene mandare un'altra entro qualche mese, ma
non pensò mai a questa possibilità.
Prima
delle vacanze estive, forse per dimenticare il tutto, andò a cena
insieme ad una nuova collega, una giovane donna salentina che a Fabio
neanche piaceva.
Accompagnandola
sotto casa, però, lui si autoinvitò a salire, ma lei rifiutò, con
gentilezza. Uscirono insieme anche tra settembre e dicembre, e alla
fine, dopo sei o sette cene, lei acconsentì a farlo salire. Dopo un
anno si sposarono e andarono a vivere nel centro storico a due passi
dal suo amato caffè, dove continuava ad andare con i due soliti
amici, anche se con meno frequenza, perché nel frattempo era
diventato padre di Irene.
Alla
storia di Lisa, la bambola, non ci pensava più.
Una
sera d'autunno, però, il suo telefono cellulare cominciò a ricevere
chiamate senza numero; Fabio rispondeva, ma dall'altra parte niente,
solo silenzio. Lo stesso avveniva con il telefono di casa. Il fatto
continuò per un mese, quasi tutti i giorni e a qualsiasi ora, anche
durante la notte.
Una
mattina del cinque dicembre la città era completamente innevata.
L'uomo, mentre camminava verso il suo ufficio, ricevette una
chiamata, ancora una volta anonima: tuttavia, in quel momento, era
talmente preso dallo spettacolo della neve che cadeva sulle auto e
sui pullman bloccati per le strade della città, che rispose senza
pensarci. Questa volta udì qualcosa di insolito, il suono delle onde
del mare infrangersi sulla sabbia e immediatamente pensò alla
bambola scomparsa, a Lisa e al ricordo di quell'unico viaggio fatto a
Levanto con lei, quando erano ancora adolescenti.
Non
andò a lavoro, non avvertì nessuno, perché era già salito su un
treno diretto per quel paese. Non fece nemmeno il biglietto e prese
una multa. Dopo quattro ore si ritrovò in quel luogo soleggiato, ma
con un vento gelido e gli schizzi delle onde del mare, distanti un
centinaio di metri, che gli sfioravano il viso.
Passò
per il centro deserto. Giunse immediatamente sul lungomare. Cercò di
ricordarsi il punto preciso della spiaggia dove si erano fermati al
tempo e dove aveva scattato quella foto.
Superò
la prima spiaggia, divisa da un torrente e giunse nella seconda
spiaggia, prima del piccolo golfo, e lì, proprio lì, vide, una
ragazza con i capelli ricci mossi dal vento, il cappottino nero, in
piedi, con le mani in tasca, che fissava il mare. Ora Fabio non aveva
più dubbi: era lei, Lisa, la bambola o la ragazza dei suoi ricordi.
Rimase a guardarla un poco. Poi andò verso di lei, che intanto,
senza voltarsi, forse, gli fece un sorriso.