domenica 21 luglio 2013

LISA LA BAMBOLA (VERSIONE CORRETTA, 2013)

Una sera d'inverno, nella sua piccola fredda mansarda, in un quartiere periferico della città, Fabio, un trentaquattrenne impiegato in una segreteria universitaria, aveva improvvisamente capito che un lontano desiderio forse si sarebbe macabramente realizzato. Un sito internet di una nota multinazionale giapponese regalava sogni erotici, costruendo bambole gonfiabili di lattice: uomini, donne, androgini, con una tale precisione da sembrare veri esseri umani. Ma la cosa che fece quasi svenire Fabio era l'opzione detta The doll of your life. L'azienda era in grado di ricostruire una bambola identica alla persona richiesta: peso, viso, occhi, seno, dita, culo, capelli, bocca e altri dettagli, anche minimi, tutto uguale.
Traducendo il senso del loro slogan: se volevi indietro tua moglie nel fiore della giovinezza, se eri il tipo fissato con donne simili a Pamela Anderson o Marylin Monroe, se desideravi la tua ex compagna di banco della scuola superiore, la casa di produzione di bambole reali, la ***, nel giro di un anno, per venticinque mila dollari, avrebbe portato a casa tua la felicità, la persona che avevi da sempre sognato (potevano anche mandarti noti leader politici, personaggi storici...)
Solo l'abbigliamento era un problema che il cliente avrebbe dovuto risolvere da sé, ma questo era il meno.
Fabio si accese una sigaretta, di quelle sottili, ma non era un gran fumatore, anzi, solitamente le teneva per gli amici o per qualche fidanzata, o magari se ne fumava una o due, ogni tanto, dopo un buon caffè. Nella casa risuonava musica jazz. Fabio pensò alla questione finanziaria: poteva ritirare i soldi dalla banca, quelli che aveva ricevuto da una eredità, e che, secondo i consigli della sua famiglia, mai e poi mai avrebbe dovuto spendere se non per un giusta causa, come per esempio quella di comprarsi una buona automobile.
Invece, dopo poche settimane, aveva già preparato tutto il materiale fotografico sulla ragazza che voleva far rivivere a tutti i costi: si chiamava Lisa ed era stato il suo più grande amore, anche se ne aveva parlato con poche persone e mai in modo serio. I due si erano conosciuti al liceo quando Fabio frequentava l'ultimo anno, mentre lei, due anni più giovane, il terzo. Durante una partita di pallavolo lui le schiacciò una violenta pallonata sul viso e lei finì in infermeria. Il giorno seguente, per farsi perdonare, le regalò tre rose rosse davanti a tutta la classe. Dopo qualche settimana si misero insieme, ma si vedevano solo di domenica, nella spaziosa casa di lei, oppure andavano nei cinema d'essai. Abitavano pure nello stesso quartiere e avevano molti amici in comune. In quel periodo era straripante di felicità, la notte faticava ad addormentarsi, non aveva mai conosciuto una ragazza così piena di interessi. Ed era pure bellissima. Aveva i capelli rossicci, un po' ricci; quegli occhi azzurri, quando lo fissavano, mettevano a disagio proprio lui che pareva sempre distaccato da tutto e così sicuro di sé. Per la prima volta si era innamorato, ma un bel giorno quegli occhi non li vide più. Trascorso l'autunno, passato l'inverno, lei si innamorò di un altro ragazzo della scuola. Fabio soffrì, in silenzio. Qualche volta era capitato che si rifugiasse nel bagno della scuola per piangere. Smise anche di giocare nella squadra mista di pallavolo a causa di un problema alla caviglia, o almeno così raccontò agli amici. Ma in realtà non voleva più incontrarla.
La passione per il cinema, che con lei aveva condiviso, scomparve presto. Dopo la maturità si iscrisse a Giurisprudenza, in un'altra città. Conquistata a fatica la laurea, a trent'anni, ritornò nella sua città, trovando subito lavoro, e così andò a vivere nella mansarda di famiglia, in beata solitudine.
Il ventidue maggio del 2005 c'era molto vento. Fabio guardava attraverso il vetro della sua finestra le tende verdi di alcuni balconi del palazzo di fronte muoversi violentemente. All'improvviso suonò il campanello: era il corriere che gli avrebbe portato la sua bambola perfetta.
Un signore con la barba gli consegnò vari scatoloni con dentro i pezzi del corpo da montare. Fabio non aveva il coraggio di guardare l'uomo negli occhi, firmò e chiuse la porta.
In quei mesi di attesa aveva comprato molti dei vestiti che lei portava nel periodo in cui la frequentava: scarpe Doctor Martens blu, jeans larghi, maglie di cotone colorate, la bombetta alla Charlot che ogni tanto metteva. Acquistò persino il suo deodorante preferito. Se non erano proprio gli stessi vestiti, dovevano comunque essere molto simili a quelli che lui ricordava.
Montò tutti i pezzi della bambola in un paio di ore, seguendo le istruzioni in lingua inglese, e la vestì, cercando di non guardare il suo viso e soprattutto quegli occhi azzurri, incantevoli. Durante il loro breve adolescenziale rapporto, non si erano mai spogliati, non avevano mai fatto l'amore; fu una storia fatta di interminabili baci e carezze. (Per l'occasione aveva comprato della biancheria intima, un po' a caso).
Finito il lavoro, Fabio si mise a piangere (non gli capitava da anni, non era un tipo dalle lacrime facili), perché sembrava proprio lei, la ragazza di sedici anni di nome Lisa.
Alcuni anni dopo il liceo, la vera Lisa l'aveva vista solo due volte, da lontano, e gli era parsa sempre molto affascinante. Era anche capitato che un amico comune li avesse fatti mettere in contatto tramite posta elettronica, qualche anno prima, quando Fabio viveva ancora Roma ed era in difficoltà con gli ultimi due esami. Così lui le rispose un po' frettolosamente. Lei aveva studiato Lettere classiche; sembrava la stessa persona di un tempo, presa dai soliti interessi, per il cinema d'autore, il teatro, la politica, la cucina indiana, la fissa per i viaggi e l'amata Berlino. In una e-mail, lei gli chiese anche scusa per averlo lasciato così, da un giorno all'altro, giustificandosi però che al tempo era ancora una ragazza immatura. Non aggiunse altro.
Ma a Fabio non importava più quella Lisa, ma l'altra, quella viva nei suoi ricordi e che in quel momento aveva di nuovo di fronte, seduta sul divano, con le gambe accavallate.
La bambola pesava una cinquantina di chili o più; sollevarla e metterla lì, in posa, per lui era stata una ulteriore fatica. I capelli ricci le nascondevano le guance bianche. Gli occhi azzurri fissavano il tappeto. Fabio la guardò dal basso, buttato in terra, sul tappeto: erano proprio quegli occhi a fissarlo, quelli della ragazza che non aveva mai smesso di amare, anche quando aveva avuto altre donne.
Smise di piangere e le accarezzò le braccia, coperte da una maglia piena di colori. Poi le toccò le mani e i polpastrelli, che sembravano veri e soprattutto gli stessi che ricordava. I giapponesi avevano fatto un grande lavoro, ma anche lui non era stato da meno nel reperire tutto il materiale possibile per creare l'opera. Lisa al tempo si mangiava le unghie, aveva proprio delle dita orrende e le mani un po' mascoline.
Fabio uscì di casa per andare in un caffè storico del centro per bere del buon vino, insieme a due suoi colleghi e amici di dieci anni più vecchi, entrambi uomini molto robusti che sembravano gemelli. Erano amanti del calcio, delle scommesse sportive e fissati con la musica di Miles Davis. Anche Fabio aveva questi interessi (però non scommetteva mai), e le partite di calcio le vedeva in TV, nei pub, insieme ad altra gente, tanto per stare in compagnia, ma non era un vero tifoso. Mentre la musica l'ascoltava solo in casa, continuamente. Comprava i cd, non solo quelli di Miles Davis, ma tutto ciò che riguardasse la storia del jazz. Li ascoltava nel pomeriggio, dopo il lavoro e la sera prima di addormentarsi, sempre a basso volume.
Con questi due amici si incontrava il venerdì o il sabato, e per un paio d'ore se ne stavano seduti a chiacchierare e a guardare attraverso le vetrate scure le persone che passavano davanti a questo locale: coppie di anziani, giovani, donne con il passeggino, qualche turista che scattava foto, mendicanti e zingari che chiedevano soldi.
Fabio tacque sul fatto della bambola, né aveva mai accennato ai due quel suo amore adolescenziale. Come sempre raccolse dentro di sé le immagini più strambe e forse le più belle, per lasciare spazio alle apparenze, per gli altri: lui era un uomo qualunque, con interessi forse un po' limitati. Fisicamente era ben messo, alto un metro e novanta, con i capelli lunghi, scuri, la pelle liscia. Un uomo dal carattere un po' riservato, ma che non lesinava mai la battuta, il sorriso. Inoltre aveva avuto sempre tante donne, alcune molto intelligenti e belle.
Amava anche le giacche e le cravatte firmate, e a causa di queste costose fisse, viveva in una semplice mansarda, rinunciando a qualche viaggio o ad una casa migliore, pur di vestire come voleva: i soldi gli bastavano per questo e per le cene, il vino pregiato, la collezione di CD.
Il resto del denaro gli serviva per pagare le spese di quel piccolo rifugio, un paradiso a poco prezzo, tutto suo. Ma ora, forse, non era più il solo a viverci.
Sapeva di aver fatto una cosa molto strana con questa storia della bambola, e che, a casa sua, qualcosa di indecifrabile, una ragazzina di lattice che sembrava un essere vivente (le mancava solo il respiro), lo avrebbe aspettato.

A mezzanotte, quando rientrò nel suo appartamento, lasciò la luce spenta, si mise sul divano, al suo fianco e cominciò a baciarla. Anche le labbra parevano vere come quelle di una ragazzina, proprio di quella ragazzina. Ancora una volta pensò ai giapponesi, popolo di geni! Il vino gli aveva dato coraggio. Solo nei primi momenti pensò di vivere dentro un ricordo o un sogno, ma questo passò quasi subito, perché ora lui era lì per davvero, al buio, con una bambola che lentamente stava spogliando. Scoprì i suoi seni duri, pesanti, e che tali dovevano essere al tempo. Li baciò. Poi anche Fabio si spogliò completamente, la penetrò e fece l'amore con la bambola, anche lei tutta nuda. Dormì abbracciato alla ragazza di lattice fino a tarda mattinata.
Al risveglio le accarezzò i capelli, ma non riusciva a guardarla negli occhi se non per pochi secondi. Era felice, forse il momento più intenso della sua vita, e anche se sapeva che era una solamente bambola, passò tutto il giorno a fare l'amore con lei.
Era come se avesse ripreso un rapporto interrotto: anche lui si sentiva un ragazzino, quel ragazzino di diciotto anni, e il tempo si era fermato per sempre. I ricordi erano scomparsi, c'era solo l'attimo da condividere.
L'espressione del volto di Lisa era stata ricostruita in base ad una fotografia che Fabio aveva scattato e scelto con cura - tra le poche a sua disposizione poiché due o tre le aveva perdute o stracciate - con lei che guardava le grandi onde del mare di Levanto. Avevano passato insieme una sola domenica fuori dalla città, ed erano andati in Liguria con il treno. L'immagine era stata scattata di nascosto perché lei non amava né essere ripresa né fotografata. Aveva una espressione rilassata, un po' misteriosa e forse distaccata, ma nel complesso sembrava felice.
Secondo lui era quello il volto che la bambola avrebbe dovuto avere in eterno. Lisa, in realtà, era una ragazza che rideva molto e che amava fare gli scherzi, e sicuramente era rimasta così anche a trent'anni. E a Fabio non passò neanche per la testa di fare uno scherzo e invitarla a cena per presentarla a se stessa, sedicenne. E nemmeno aveva intenzione di raccontarlo in giro: cose da pazzi! L'avrebbero pure licenziato da quel lavoro burocratico e noioso di segreteria (che comunque gli permetteva, nel suo piccolo, di vivere come voleva).
Questo era il suo segreto: doveva essere un amore al di fuori di tutto.
Nei giorni seguenti la sfiorò soltanto, dandole qualche bacio e alcune carezze. La sistemò in una minuscola stanza, tenendola con i vestiti (in mezze maniche visto che si avvicinava l'estate), in un luogo che serviva da ripostiglio per mobili rovinati, alcune sedie, vecchi libri e altro. Preparò un letto da una parte e i libri, uno sopra l'altro, contro l'altra parete, soprattutto libri di filosofia, saggi su registi e attori come Woody Allen, raccolte di poesie e romanzi, compresi i libri di Pavese, quelli degli scrittori della Beat Generation e di Pasolini. Lisa leggeva moltissimo ed lui ne aveva comperati a decine e decine proprio in quegli anni e un po' li aveva letti, per poi dimenticarli quasi del tutto.
La stanza aveva un lucernario, e la notte, a luci spente, guardava con lei il cielo stellato.
Il sabato pomeriggio aveva cominciato a leggerle ad alta voce poesie, brani di romanzi, ma anche alcune cosette comiche che lui stesso aveva scritto da adolescente, e che mai aveva avuto il coraggio di recitare a qualcuno.
Oramai quella era diventata la stanza di Lisa, e quando Fabio usciva, la chiudeva sempre dentro, ma anche quando lui cucinava, parlava al telefono o stava al computer o in bagno, la bambola doveva rimanere fuori dal suo quotidiano. Era una forma di rispetto reciproco, pensò: in fondo anche lei aveva bisogno di stare un po' per conto proprio.
E così passò l'estate, nella rovente mansarda. Lui andava nella stanzetta per qualche ora al giorno, oppure di notte e facevano l'amore, se capitava. Fabio stava anche diventando un lettore accanito e di fatto comprò altri libri, per lei e per sé stesso. Una sera le scrisse anche una poesia d'amore un po' ispirata a quelle di Pablo Neruda, e alla fine gli venne da commuoversi, tanto da bagnarle il viso con una lacrima.
In casa raramente invitava qualcuno (questa era una sua prerogativa, anche prima di questo evento), e la sua vita fuori, nel mondo, continuava ad essere la stessa: gli amici al caffè storico, il calcio e anche due brevi storie con una donna sposata, conosciuta su internet e una ragazza di venticinque anni, una stagista compagna di lavoro.
Tuttavia, a partire dai primi giorni di ottobre, le cose cominciarono a cambiare. Lui smise gradualmente di leggere libri, di raccontarle storie. Sempre più spesso dormivano insieme, ma il sesso era diventato predominante nella vita della strana coppia. Lui cominciò a farle quello che mai avrebbe osato chiedere ad una donna. Dopo la teneva stretta tra le sue braccia, ascoltando musica jazz diffusa per la mansarda, ma pensava ad altro. La domenica pomeriggio, quando non andava a vedere una partita di calcio, Fabio faceva gli esperimenti più assurdi: si scolava due bottiglie di vino solo per provare come e se sarebbe riuscito a venire anche da sbronzo.
E questo era il meno. Provò a praticare sesso in tutte posizioni, anche quelle impossibili da raccontare.
E così avvenne il primo incredibile fatto: Lisa aveva cambiato espressione del viso. Aveva perso quei lineamenti identici a quella foto di lei davanti al mare, un po' misteriosa ma felice. Il volto era lentamente mutato in una espressione colma di tristezza. Fabio si era accorto di questo, ma continuò a fare del sesso con lei, quasi tutti i giorni. Un altro particolare inquietante era che la bambola aveva perso calore, era diventata fredda come il ghiaccio. Ora Lisa sembrava distante, o meglio assente, come una bambola qualsiasi.
Durante gli ultimi giorni di febbraio, l'uomo fece un breve viaggio a Salisburgo insieme ai soliti due amici-colleghi. Al suo ritorno Lisa, la bambola, era scomparsa nel nulla.
Non è possibile, pensò, sicuramente era stata rubata, ma la serratura era a posto e solo i suoi famigliari avevano una copia delle sue chiavi. Nessuno però sarebbe entrato senza il suo permesso: la casa era sua. Lavorava, pagava le spese e poi chi poteva prendergli la bambola? Chi poteva sapere della sua esistenza? Praticamente non aveva vicini di pianerottolo; c'erano quelli al piano di sotto, le due tranquille famiglie del nono piano, genitori quarantenni o poco più, figli in età da primo asilo.
Quella settimana andò a cena dai suoi, un po' per indagare, ma nessuno gli disse nulla. Allora pensò al corriere, all'uomo con la barba che gli aveva portato la bambola ancora in pezzi, ma dopo una breve ricerca scoprì che era morto in un incidente in motocicletta due mesi dopo il periodo della consegna.
Gli venne un dubbio: e se fosse stato tutto un sogno durato alcuni mesi? Ma questo era impossibile, poiché c'erano ancora gli scatoloni vuoti, i contratti della multinazionale giapponese ***, e anche due parrucche, una bionda e una nera, in omaggio, rimaste dentro uno scatolone e che Fabio mai aveva usato, perché la sua Lisa la voleva così come se la ricordava (senza ulteriore artificio).
Durante alcune notti faticò a dormire, gli venivano i brividi e quando sentiva un rumore metteva la testa sotto il cuscino.
Era assicurato, poteva farsene mandare un'altra entro qualche mese, ma non pensò mai a questa possibilità.
Prima delle vacanze estive, forse per dimenticare il tutto, andò a cena insieme ad una nuova collega, una giovane donna salentina che a Fabio neanche piaceva.
Accompagnandola sotto casa, però, lui si autoinvitò a salire, ma lei rifiutò, con gentilezza. Uscirono insieme anche tra settembre e dicembre, e alla fine, dopo sei o sette cene, lei acconsentì a farlo salire. Dopo un anno si sposarono e andarono a vivere nel centro storico a due passi dal suo amato caffè, dove continuava ad andare con i due soliti amici, anche se con meno frequenza, perché nel frattempo era diventato padre di Irene.
Alla storia di Lisa, la bambola, non ci pensava più.
Una sera d'autunno, però, il suo telefono cellulare cominciò a ricevere chiamate senza numero; Fabio rispondeva, ma dall'altra parte niente, solo silenzio. Lo stesso avveniva con il telefono di casa. Il fatto continuò per un mese, quasi tutti i giorni e a qualsiasi ora, anche durante la notte.
Una mattina del cinque dicembre la città era completamente innevata. L'uomo, mentre camminava verso il suo ufficio, ricevette una chiamata, ancora una volta anonima: tuttavia, in quel momento, era talmente preso dallo spettacolo della neve che cadeva sulle auto e sui pullman bloccati per le strade della città, che rispose senza pensarci. Questa volta udì qualcosa di insolito, il suono delle onde del mare infrangersi sulla sabbia e immediatamente pensò alla bambola scomparsa, a Lisa e al ricordo di quell'unico viaggio fatto a Levanto con lei, quando erano ancora adolescenti.
Non andò a lavoro, non avvertì nessuno, perché era già salito su un treno diretto per quel paese. Non fece nemmeno il biglietto e prese una multa. Dopo quattro ore si ritrovò in quel luogo soleggiato, ma con un vento gelido e gli schizzi delle onde del mare, distanti un centinaio di metri, che gli sfioravano il viso.
Passò per il centro deserto. Giunse immediatamente sul lungomare. Cercò di ricordarsi il punto preciso della spiaggia dove si erano fermati al tempo e dove aveva scattato quella foto.
Superò la prima spiaggia, divisa da un torrente e giunse nella seconda spiaggia, prima del piccolo golfo, e lì, proprio lì, vide, una ragazza con i capelli ricci mossi dal vento, il cappottino nero, in piedi, con le mani in tasca, che fissava il mare. Ora Fabio non aveva più dubbi: era lei, Lisa, la bambola o la ragazza dei suoi ricordi. Rimase a guardarla un poco. Poi andò verso di lei, che intanto, senza voltarsi, forse, gli fece un sorriso.

(ilmiolibro.it)